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E venne il giorno in cui il diavolo fece i coperchi

L’umanità, quando si presentava in massa, gli provocava un forte disagio. Il brusio che diventava frastuono, il continuo contatto fisico, fatto di urti più o meno casuali, l’impossibilità di vedere, senza dovere continuamente muovere la testa, e cercare di ascoltare senza dovere lanciare occhiate di rimprovero ai vicini.

Tutto questo era veleno per la sua pace interiore e commise per la seconda volta nella sua vita un piccolo abuso di potere, di solito si limitava a fare quelli veramente grandi. Si diresse con decisione verso un esponente delle forze dell’ordine in borghese, pur sempre riconoscibile, lo fissò dritto negli occhi, estrasse il suo tesserino di riconoscimento e attese che si facesse da parte per permettergli di arrivare dietro le quinte del teatro. Giunto alle spalle del palco si rilassò. Non poté fare a meno di sorridere al pensiero che l’ispettore in questione gli aveva riservato il medesimo sguardo arrendevole del militare addetto alla sicurezza di un grande museo, quando aveva mostrato lo stesso documento. A discolpa del povero sergente dell’esercito, che nell’occasione l’aveva visto saltare la coda per il biglietto, c’erano le sue ultime parole famose: “Adesso sai chi sono, quello che tengo per mano è mio figlio minore e deve fare la pipi. A questo punto puoi scegliere se permettermi di andare in bagno oppure lasciare che usi la tua gamba come un albero. In ogni caso io non sono mai stato qui.” Il sorriso del proprio bambino che svuota la vescica non ha prezzo, per tutto il resto c’è MasterCard (non proprio, ma diciamo un equivalente).

Aveva trovato un angolo oscuro che ben si confaceva al suo ruolo e soprattutto gli consentiva di osservare con una certa tranquillità il caos che precedeva l’arrivo del protagonista. Era interessante osservare l’impegno profuso dallo staff per fare in modo che nulla fosse lasciato al caso. Il risultato finale dipendeva da una serie di dettagli dei quali tutti sembravano assolutamente consapevoli, a partire dal momento in cui il protagonista doveva togliersi la giacca: dopo che la platea lo avesse visto, ma prima di salire sul podio dello speaker. In questo modo avrebbe avuto l’occasione di rimboccarsi le maniche prima di parlare. Su questa entrata ben tre spin doctor si erano trovati d’accordo: adatta al personaggio, attesa dal suo pubblico.

Finalmente Giuseppe Di Roccia fece il suo ingresso. Con passo svelto attraversò il palco, come da copione si tolse la giacca, gettandola su una sedia, e aggredì il podio, rimboccandosi le maniche “Bravo!” Esclamò D’Amato. Un lavoro ben fatto merita un riconoscimento anche se non produrrà alcuna conseguenza significativa.

Il comizio che seguì gli fece rimpiangere di essere partito da Parigi con due giorni di anticipo. Lo avevano informato che sarebbe stato come tutti gli altri, ma voleva vedere con i suoi occhi. Non poteva credere che quel giovane procuratore con uno spiccato senso del potere, avesse ceduto alla malsana tentazione del consenso.

Sarà stata la delusione per quel blaterare di onestà e integrità, ma più probabilmente fu il finale in cui la folla inneggiava: “Beppe. Beppe. Beppe.” che gli fece scappare un: “Cazzo! Quell’altro almeno la buttava sul classico.” Alla fine si ritrovò a immaginare una Piazza Venezia in cui echeggiava il coro “Benni, Benni, Benni.” Di fronte a tanto, anche gli italiani avrebbero trasformato il ventennio in un biennio al massimo. Poco importava perché era decisamente irritato. Deluso nella sua aspettativa, fece qualcosa che non era nel suo stile, ma quel Di Roccia gli stava ancora (per poco) simpatico.

“Procuratore!” Esclamò, quando il politico, ormai dietro le quinte, passò a meno di un metro dall’angolo oscuro in cui si trovava.

“Chi…” Di Roccia si voltò d’istinto verso il punto da cui proveniva la voce. In quello stesso momento D’Amato uscì allo scoperto. I due incrociarono lo sguardo riservandosi un mezzo sorriso di reciproco riconoscimento.

“Oh! L’oscuro e intoccabile servitore dello stato.” Esordì Di Roccia. “Sono passati anni dal nostro primo e unico incontro.”

“Otto per la precisione, ma vedo che ha buona memoria.” D’Amato, come in altre occasione aveva lasciato il segno nel suo interlocutore.

“Difficile dimenticare il suo talento di affabulatore e soprattutto il modo in cui riuscì a sfuggirmi. All’epoca pensavo che quel caso mi avrebbe spalancato la strada di una brillante carriera, invece ho dovuto spedire in galera una metà dei miei colleghi corrotti che aggiustavano processi per ottenere il risultato.”

“Già. Un vero colpo di fortuna, poi, il fatto che abbiano tentato di assassinarla.” Interloquì D’Amato.

“A quel punto era fatta. La politica era diventata una scelta inevitabile.” Di Roccia per qualche istante si perse nei ricordi, ma si riebbe rapidamente. “In ogni caso, qual buon vento la porta al mio cospetto.”

D’Amato ruppe gli indugi perché era ora di fare scendere sua altezza dal trespolo. “Credo che abbia urgente necessità di un’altra favola educativa.”

“Senta, è stato un piacere rivederla, ma non ho proprio tempo…”

“Lo trovi.” Lo interruppe D’Amato. “Altrimenti scoprirà il significato letterale di non avere proprio tempo.

Il tono minaccioso colpì Di Roccia come uno schiaffo. Non era abituato a ricevere ordini diretti, ma sapeva che il suo interlocutore rappresentava una forza sfuggente e temibile.

Il successivo “Mi segua” era intriso di fiele.

Giunsero in una specie di camerino. D’Amato si sedette, accavallò le gambe, si poggiò le mani in grembo e iniziò a narrare.

Immagino che non abbia dimenticato il paese lontano, ma non troppo, dove tutti vivevano felici e contenti. Artefice del miracolo era stato Allen, da tempo il capo indiscusso della S.p.I.A. (Servizi per Informazioni Attendibili). Gli ultimi anni erano volati mentre il governo twittava, l’opposizione bloggava, il parlamento postava, spesso a sproposito, i cittadini chattavano, sempre perennemente incazzati e i Servizi… Avevano smesso di spiare poiché ormai gestivano. Avendo il completo controllo di tutte le piattaforme messe in piedi su Internet dai diversi partiti politici, non si spiava più come una volta e aveva dovuto assoldare un team di agguerriti specialisti in archivistica con il compito di fornire ai tecnici informatici le linee guida per organizzare e strutturare una massa di informazioni che non aveva precedenti nella storia del paese. La guida del gruppo fu affidata a Basilio. Aldilà della competenza, Allen amava passare del tempo con lui per via delle infinite storielle che gli raccontava. Non importava se le conosceva quasi tutte perfettamente, per ovvie ragioni legate al suo ruolo, perché il buon Basilio era un grande affabulatore e lo affascinava. Questa però è un’altra storia e adesso non abbiamo tempo. Allen, infatti, aveva anche altre gatte da pelare. La più seccante della quali era tenere fuori dalla porta i servizi segreti di molti paesi stranieri e frotte di criminali a caccia di dati e informazioni per ricatti di bassa lega. I primi erano veramente insistenti. Qualche mese addietro, Allen si era talmente incazzato con il suo omologo di un Paese, vicino ma non troppo, che aveva minacciato, qualora i suoi agenti non avessero smesso di cercare di infiltrarsi, di pubblicare su Youtube il video del loro Ministro dell’Interno impegnato in una performance di autoerotismo con due aspirapolvere. Allen aveva dovuto rivedere tre volte il video per capire come funzionava la cosa. I secondi decisamente noiosi, anche perché i milioni di iscritti ai diversi partiti facevano di tutto per cacciarsi nei guai, beccandosi ogni tipo di virus informatico, che diventava un cavallo di troia per delinquentelli informatici di mezzo mondo. Una volta, ai suoi ragazzi era sfuggito uno di questi furbacchioni che si era impossessato dell’intero database degli iscritti alla Sinistra Emergente Libertaria e aveva tentato di rivenderlo al mercato nero nel Deep Web. I suoi erano riusciti ad agganciarlo e a organizzare un scambio: una valigetta con due milioni di euro contro l’unica copia degli elenchi salvata su un DVD. I ragazzi avevano fatto un buon lavoro ed erano ritornati con una valigia in più.

A parte queste amenità, il vero momento di crisi, che si trasformò nella svolta, fu quando quei fenomeni del Movimento Nuova Atene riuscirono a ottenere il quorum e a fare passare il referendum che introduceva come nuova forma elettorale del paese le votazioni on line. Quando giunse la conferma che i “si” avevano vinto, Allen ebbe un mancamento e convocò Lavrenti, che quando si trattava di lavori duri e sporchi non aveva eguali nel suo staff. La sua missione era semplice: infiltrare il sistema elettorale per proteggerlo da minacce interne o esterne che potessero influenzare l’esito delle votazioni. Se avesse lasciato fare al sistema politico, in tre anni sarebbero stati governati da un paese vicino, ma non troppo.

Lavrenti si mise al lavoro con metodo e precisione chirurgica, sfruttando la mostruosa banca dati accumulata. Corrompendo, ricattando e minacciando tutti i fornitori invitati alla gara per la realizzazione del sistema, si assicurò che lo sviluppo del software destinato alla gestione del flusso dei voti fosse sotto il controllo dei servizi. Create le opportune backdoor nelle applicazioni, l’instancabile Lavrenti si preoccupò anche della parte hardware e del network, con lo stesso collaudato metodo. Un anno dopo il clamoroso esito del referendum, VotaWeb andò in linea, pronto per le prime consultazioni. Allen impose due settimane di vacanza a Lavrenti, che proprio non ne voleva sapere di staccarsi dalla sua “creatura”, confermando che a tratti quell’uomo era decisamente inquietante, ma anche questa è un’altra storia.

Il nucleo speciale per la protezione elettorale, messo in piedi da Allen, passò due mesi d’inferno. Sedici persone si alternavano alla consolle di gestione del sistema informatico ventiquattro ore su ventiquattro. Tenere alla larga delinquenti internazionali e servizi segreti era diventato un incubo. A questo si aggiunse pure la criminalità organizzata locale, che gli fece pervenire una lettera, ovviamente cartacea, in cui lo minacciava neppure troppo velatamente per costringerlo a lasciare che se la sbrigassero loro. Allen raramente perdeva la pazienza, ma la missiva lo fece uscire dai gangheri e richiamò dalle ferie il fido Lavrenti dicendogli di fare pervenire a costoro un messaggio che non lasciasse adito a dubbi. Sapeva che non doveva prendere decisioni sull’onda dell’emotività e i sei impiccati nel centro della città, che storicamente era considerata la capitale dell’organizzazione, lo confermarono. Tirò le orecchie al fido e lo rispedì in ferie. Intanto VotaWeb era diventato un campo di battaglia informatico e il nucleo di protezione elettorale contava ormai trentadue operatori: così non poteva funzionare perché i costi di quella guerra stavano diventando esplosivi. Ancora una volta Allen fu costretto a prendere una decisione difficile, di quelle che avrebbero scosso le fondamenta delle sue convinzioni. Convocò una riunione con i suoi più stretti collaboratori, tranne Lavrenti che lasciò deliberatamente in ferie, e condivise il suo piano. Il Nucleo Speciale per la Protezione Elettorale si sarebbe trasformato in Unità Permanente di Gestione Elettorale e avrebbe preso segretamente il controllo delle votazioni. Non esisteva una giustificazione accettabile per l’abolizione delle libere elezioni, i Servizi avrebbero di fatto deciso l’esito di qualsiasi votazione e di fronte alle perplessità dei suoi, Allen spiegò le ragioni della sofferta decisione. La battaglia per proteggere VotaWeb avrebbe finito per dissanguare i servizi, quindi non era una strada percorribile. Cosa volevano criminali e servizi segreti di mezzo mondo? Allen si era convinto che in fondo si sarebbero accontentanti di avere un interlocutore credibile, con il controllo della situazione, disposto ad ascoltare le loro richieste ed eventualmente pronto a intervenire in un’ottica di collaborazione. Avrebbero valutato l’economia dello sforzo, perché sapevano che uno come Allen avrebbe venduto cara la pelle. Nelle settimane successive fu intessuta una fitta rete di contatti e alla fine l’intuizione di Allen si rivelò esatta. Soltanto la criminalità organizzata locale pestò i piedi, ma dopo l’annuncio del rientro di Lavrenti dalle prolungate vacanze, ci ripensò e scese a più miti consigli. Due mesi dopo la situazione era tornata tranquilla e la più grande battaglia informatica mai combattuta da Allen era definitivamente conclusa. I Servizi ricevevano varie segnalazioni per pilotare i voti su candidati e partiti in occasione di ogni consultazione elettorale. Tutte le richieste venivano esaminate dal direttivo S.p.I.A., che Allen presiedeva, per valutare se quanto proposto fosse compatibile con il più alto interesse del paese. In caso positivo si rilasciava formale autorizzazione e l’Unità Permanente di Gestione Elettorale procedeva a indirizzare i voti. Dopo le prime elezioni nazionali, Allen ricevette molti messaggi di congratulazioni dai suoi partner internazionali per lo straordinario equilibrio mostrato nella composizione del Parlamento, tale da garantire un’assoluta stabilità dello scenario politico nazionale. Queste erano le piccole soddisfazioni che si ottenevano quando il lavoro era fatto veramente bene…

La vibrazione del cellulare di D’Amato interruppe il racconto.

“Si gli ho parlato… No, stai tranquillo vedrai che capirà… Impaziente? Si ma non stupido.” Adesso il consulente per la sicurezza informatica dei Servizi si stava innervosendo. “Ti ho detto che se ne farà una ragione, se poi non ci riesce saremo noi a farcela. Non mi sembra un problema. Ti chiamo dopo”.

Di Roccia aveva fatto fatica a capire il senso della conversazione, anche se iniziava ad avere un atroce sospetto.

“La favola è finita.” D’Amato fissò l’ex procuratore con uno sguardo quasi paterno. “Non essendo stupido sai cosa ti sto per comunicare. Ci dispiacerebbe se ti bruciassi in questa tornata. Vediamo delle potenzialità in te.”

Di Roccia si alzò in piedi e riservò al suo interlocutore il suo sguardo più sprezzante: “Voi non sapete cosa sono in grado di fare. Vi schiaccerò in un modo o nell’altro.” Uscì sbattendo la porta.

Giovanni D’Amato scosse la testa e si rammentò una vecchia pubblicità di quando era giovane: la potenza è nulla senza il controllo.

Poco male, sarebbe tornato a Parigi prima del previsto.

 

Alessandro Curioni

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